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Digressione Personale Riferimento

Dall’Hardbop all’Hard disk

Abstract

In questo articolo, attraverso una breve storia dell’evoluzione della tecnologia informatica rivolta alle persone con disabilità visiva, spiego le motivazioni che mi hanno portato, parallelamente al mio impegno nel mondo dell’arte, a occuparmi di questo ambito e di come sono entrato in contatto con la realtà dell’Ufficio H.

Sommario

  1. Premessa
  2. Dedica
  3. Dall’hard bop agli hard disk
  4. Rincorrere la tecnologia
  5. Docente per caso
  6. Conclusione

Premessa

Rappresentazione della lettera H con i colori derivati dalla configurazione del cubo di Rubik

Nel corso di queste ultime settimane, ho investito parte del mio pensiero e delle mie energie nella realizzazione di uno spazio web che in qualche modo mi rappresenti.
Fra i vari contenuti, ho inserito una pagina dedicata al Servizio che svolgo presso l’Ufficio H in qualità di dipendente della Comunità Piergiorgio ONLUS di Udine.
Questo testo doveva rappresentare, in realtà, una sorta di approfondimento relativo alle attività che all’interno di questo servizio, da molti anni, svolgo assieme ad un gruppo di consulenti tecnici e formatori.
L’obiettivo raggiunto però non è stato quello che mi ero prefisso al principio poiché, andando a rileggere ciò che ho scritto, mi rendo conto, mio malgrado, di essermi raccontato piuttosto che aver approfondito, fornito dettagli o spiegato qualcosa.
Ciò che ne è scaturito comunque rappresenta una parte del mio vissuto, che sento di voler condividere con chi avrà la voglia e la pazienza di leggermi.

dedica

Dedico questo post ai miei colleghi dell’ufficio H.
Alcuni – dopo molti anni – hanno preferito andarsene, altri sono qui da sempre, qualcuno è è appena arrivato.
ad Aldo, Barbara G., Barbara P., Cinzia, Cristina, Daniela, Davide, Debora, Elisa, Enrico, Giulio, Greta, Laura, Lauretta, Lucia, Massimo D., Massimo M., Nicola, Sabrina, Sylvie e Stefano.
che da molto tempo oramai, senza troppe parole, condividono o hanno condiviso con me successi, sempre troppo pochi, fallimenti e frustrazioni, molti, pranzi spesso consumati in fretta e attimi rubati per muti e solidali caffè.

Dall’Hard bop agli hard disk

Schermata tipica del sistema operativo Ms-DOS

Ho cominciato ad occuparmi di tecnologia dagli inizi degli anni 90 quando, in una fase intermedia della mia vita, una delle tante, decisi di avvicinarmi al mondo dei computer.
All’epoca avevo già completato il mio percorso accademico diplomandomi in pianoforte, ma la mia vita era sospesa, poiché l’ipotesi di una possibile carriera artistica metteva in evidenza parecchi punti interrogativi; avevo affrontato l’esame finale di pianoforte dopo più di tre anni di pausa forzata a causa di un problema meccanico alla mano sinistra, il quale mi impediva di suonare, e ciò rendeva del tutto incerta la possibilità di investire il mio futuro in quella direzione.
Fu fra l’altro in quel periodo che orientai la mia sensibilità musicale verso forme diverse da quelle che, fino a quel momento, avevo frequentato e fu proprio in quel periodo, detto per inciso, che cominciai a dedicarmi a quella che era una mia antica passione: la musica jazz.

Immagine di un vecchio computer desktop A S T

In quegli anni vivevo ancora a Milano e lì incontrai il mio primo personal computer: un AST con un disco da 40 mega byte di spazio, processore intel 80286 e 640 kilo byte di memoria RAM, dotato di un box esterno grande poco più di un pacchetto di sigarette che serviva a dare voce al sistema.

Per quei tempi, il box che io utilizzavo come sintesi vocale rappresentava una delle versioni più avanzate al mondo in relazione a quel tipo di dispositivo; bisogna ricordare, infatti, che i personal computer di quegli anni non montavano ancora schede audio e quindi i sintetizzatori vocali si configuravano, fisicamente, come delle radio dotate di rotori per la regolazione del volume, switch per l’accensione e lo spegnimento e, a seconda dei modelli, ulteriori controlli di tipo analogico.
Il mio sintetizzatore vocale, all’accensione, recitava quale messaggio di benvenuto: “Salve!”
La voce era di natura metallica e non aveva nulla a che vedere con i campionamenti fonetici che i sistemi assistivi utilizzano oggi.
Di tanto in tanto, ricordo, lo portavo con me nei luoghi pubblici come, ad esempio, sugli autobus della metropoli lombarda dove abitavo e, nascondendolo sotto qualche capo di abbigliamento, lo accendevo con il volume orientato a fondo scala e gli facevo dire: “Salve!” La cosa, con gran divertimento mio e degli amici che si univano al gioco, destava un bel po’ di scompiglio fra gli astanti ed io passavo, nell’immaginario collettivo, per un cieco con doti da ventriloquo.

Immagine di una vecchia scheda madre con processore Intel 286

La prima sintesi vocale che utilizzai era in verità di qualche anno precedente la mia; correva la fine degli anni 80 quando, per la prima volta nella mia esistenza, posi le mani sulla tastiera di un personal computer dotato di quel ausilio.
Il nome in codice era Gorbačëv. E il riferimento è chiaro: si trattava di un dispositivo dalla pronuncia praticamente incomprensibile, con derive di natura fonetica che digradavano verso le sonorità proprie degli idiomi di matrice russa.
Eppure, ciò rappresentava comunque qualcosa di straordinario; anche per chi non vedeva, infatti, da quel momento una immensa, straordinaria finestra si apriva sul mondo e i piani della comunicazione fra chi vedeva e non vedeva si posizionavano su livelli più prossimi.

Il codice Braille che a mio parere ancora oggi, per chi non vede, costituisce e deve rappresentare la via verso la conoscenza, per chi vede può configurarsi, a ragione, come un ostacolo insormontabile.

Non è difficile immaginare come potesse essere il mondo dei Ciechi prima dell’invenzione del metodo Braille e quali benefici abbiano recato le grandi scoperte applicate al mondo della comunicazione; per fornire un solo esempio in merito, basti pensare alle ricadute provocate dall’invenzione del telefono.
Non so, però, se sia ancora del tutto chiara la portata di quanto l’applicazione delle tecnologie assistive al mondo dell’informazione abbia prodotto e, soprattutto, quanto tutto questo implichi, e cioè che si tratta di un percorso oramai tracciato, dal quale non è e non sarà più possibile ritornare indietro.

Rincorrere la tecnologia

Schermata iniziale del sistema operativo Ms-Windows

Esattamente alla metà degli anni 90, le interfacce dei sistemi informatici subirono una repentina mutazione, costringendo la popolazione informatizzata a compiere una epocale migrazione da interfacce di tipo testuale, modalità comando, ai sistemi di tipo grafico, a finestre, come ancora oggi li conosciamo.
All’epoca, ricordo bene, ci fu un po’ di smarrimento; la comunità dei non vedenti sembrava improvvisamente tagliata fuori dall’evoluzione tecnologica e, dopo una fugace illusione, condannata ad essere relegata sulla “dark side of the information”, poiché le modalità di dialogo con le macchine viravano, bruscamente e senza possibilità d’appello, verso un approccio prevalentemente di tipo visuale.
Non fu così per fortuna; vennero rilasciati in pochi anni vari software, screen reader, i quali sono strumenti in grado di leggere, nel vero senso del termine, lo schermo per chi non vede.

Nell’arco di un breve spazio di tempo anch’io, come tanti altri, spostai la mia attenzione su un sistema di tipo grafico dotato di screen reader e di display Braille e, senza neppure rendermene conto, nell’anno 2000 mi ritrovai in veste di co-docente a tenere, il primo dei molti che poi seguirono, un corso di informatica di base dedicato ad un gruppo di non vedenti che, per l’occasione, venne organizzato da una cooperativa attiva nella periferia nord di Udine, provincia nella quale ancora risiedo e lavoro.

Docente per caso

Immagine di un terminale Braille

Fino a quel momento, lo confesso, mai avrei pensato che un giorno avrei dedicato parte del mio tempo all’insegnamento dell’informatica.
Fu ad una delle lezioni di quel corso che entrai in contatto con la realtà dell’Ufficio H.
Devo tutto ciò alla mia “talent scout” Greta Rodaro, attualmente responsabile del settore riguardante la formazione di quell’ambito.

Nel 2002 attivammo quello che, ancora adesso, è lo “Sportello formativo e informativo per non vedenti e ipovedenti”.
Nel corso degli anni abbiamo promosso numerosi corsi di informatica di base e avanzata rivolti a soggetti con disabilità visiva e fornito, nel tempo, un elevatissimo numero di consulenze in ambito didattico, riabilitativo o, semplicemente, orientate al solo fine di offrire alla vita delle persone che a noi si rivolgono un grado, il più elevato possibile, di autonomia e, soprattutto, di fiducia nelle proprie capacità residue.

In questi ultimi anni, complice la spinta del mercato verso le tecnologie di tipo Touch, anche il nostro servizio, nell’ambito delle attività di consulenza e di quelle a carattere formativo, si è dovuto volgere in tale direzione; possiamo dire però, a tale proposito, che per quanto questo tipo di tecnologie possano sembrare in completa antitesi con le modalità percettive di coloro che non vedono, non offrendo esse nessun tipo di riferimento fisico-spaziale, gli strumenti di tipo assistivo elaborati da diversi marchi commerciali e progetti open source attualmente a disposizione offrono la possibilità a molti soggetti di puntare con sicurezza verso il superamento di nuove frontiere che, fino a poco tempo fa, sembravano invalicabili.

Conclusione

Ripresa del dettaglio ruota di una carrozzina con la mano di un disabile poggiata sul mancorrente

Va chiarito, in conclusione, che l’ufficio H non può riassumersi nelle attività dello sportello dedicato ai disabili visivi; quando io sono entrato a farvi parte, al principio del terzo millennio, la struttura rappresentava una novità ed un germoglio che, evidentemente, nel corso del tempo, ha stabilito solide radici sul territorio, diventando punto di riferimento imprescindibile per molti utenti, famiglie e istituzioni.
Esso è un guscio che contiene esperienze ventennali di consulenti, tecnici e formatori che a trecentosessanta gradi offrono supporto di tipo umano e professionale in ambito riabilitativo, educativo-formativo, occupazionale ecc.
Si tratta di un patrimonio umano ed esperienziale che, a mio parere, andrebbe maggiormente tutelato dal sistema, ma questo non è argomento da trattarsi in questa sede.

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