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Italia paese del belcanto

Abstract

Musica e scuola: due mondi che mal comunicano fra di loro.
Riflessioni sulle aberrazioni di una didattica fuor di ogni logica.

Sommario

  1. Note di copertina
    1. Dedica
    2. Nota dell’autore
    3. Note esplicative
  2. Preludio
    1. Lipsia: 1719 – 1720
    2. Udine e dintorni: 2019 – 2020
  3. 1o movimento
    1. Allegro
    2. Commissario per un giorno
  4. 2o movimento
    1. Andante
    2. Se il flauto dolce va di traverso
  5. 3o movimento
    1. Presto
    2. Una, dieci, cento, mille voci
  6. Riferimenti
    1. Ascolta la versione audio
    2. Guarda la versione Video
    3. Consulta gli allegati

Programma di sala

Dedica

Primo piano di Lino Banfi che indossa una maglia nera con sopra scritto Oronzo in giallo. Nella mano destra un megafono bianco e rosso. Sullo sfondo una folla di persone che applaudono e reggono due cartelli, uno indicante il punteggio e l'altro un incitamento alla propria squadra del cuore.

Dedico queste riflessioni, forse inopportune e fuori tempo, ai miei cari amici musicisti che hanno scommesso tutta la loro esistenza sulla passione per la musica e l’insegnamento di essa.

In un tempo nel quale tutti i problemi dello spettacolo sembrano essere concentrati solamente sul mondo del calcio, molti straordinari professionisti che fino a metà febbraio 2020 insegnavano e suonavano – nonostante tutto – con dignità – sono lasciati soli dalle istituzioni e dalla politica.
Li ascolto al telefono, li leggo sui social: sono smarriti, a volte privi di mezzi di sussistenza, colpevolmente abbandonati a se stessi.

Nota dell’autore

Foto panoramica rappresentante fuochi d'artificio dalle tonalità rosse e viola che, dopo essere esplosi, formano in cielo una sfumatura simile ad un tramonto. Il tutto si riflette su uno specchio d'acqua.

Risulta difficile riflettere su questioni relative alla didattica in un tempo nel quale la cucina di casa è diventata una sala riservata alle lezioni di danza, la camera da letto si è trasformata in un’aula scolastica o il pergolato è divenuto una sala insegnanti, dotata pure della macchinetta per il caffè.

Quando scrivevo i primi appunti per questo articolo, proiettavo la mia mente al momento della sua pubblicazione, che sarebbe felicemente coincisa con la ricorrenza del terzo anno dall’apertura di questo spazio da me autogestito.
Ora, purtroppo, mi chiedo se questi pensieri possano avere ancora un senso, poiché in questo testo faccio riferimento a una modalità di insegnamento della musica propria della scuola italiana che, forse, non potrà mai più essere riesumata.

A pensarci con maggior attenzione però, vale probabilmente e comunque la pena di parlare di qualcosa che un nemico invisibile, ignaro e inconsapevole ha compiuto, riformando in modo imperativo il settore della scuola al punto da meritarsi la “Corona” di superministro della pubblica istruzione.

Note esplicative

Al fine di ottenere un maggiore grado di interazione con questo testo, si consiglia di integrare la lettura dei contenuti con l’ascolto di alcuni brani inclusi negli appositi player allegati.

le indicazioni relative ai brani proposti sono state tratte dalla guida all’ascolto redatta da Carlo Carnevali.

Preludio

Lipsia, 1719 – 1720

Ripresa panoramica di Lipsia in un contrasto di colori freddi e caldi mentre  le case sono di un delicato blu argentato, una grande chiesa risplende di riflessi dorati e di cupole verde e blu brillante. Sullo sfondo un alto palazzo e delle nuvole indaco che si fondono con il cielo.

Queste coordinate spazio-temporali determinano un dove e un quando; a Lipsia, infatti, nel 1719 – 1720, J. S. Bach congegnò quella che – a mio parere – è da considerarsi una perla di tutta la storia della musica: il 4o Concerto Brandeburghese.
Si tratta di una composizione ascrivibile al genere del Concerto Grosso come, ad esempio, le 4 stagioni di Vivaldi .
La sua peculiarità, però, sta nell’impiego da parte dell’autore del violino quale strumento solista, coadiuvato da una coppia di flauti dolci nel ruolo di strumenti concertanti e dal basso continuo che completa la struttura di quel piccolo organico, proprio dello stile del concerto grosso, chiamato concertino; esso ha la funzione di elemento dialogante con il resto dell’orchestra, denominato ripieno.

Udine e dintorni: 2019 – 2020

Foto di Piazza San Giacomo, in un tripudio di colori donati dalle case sullo sfondo. Al centro dell'inquadratura una fontana imponente con scalinata attorno alla quale giocano due bambine e molte persone passeggiano. Sempre sullo sfondo, domina la cima di un campanile.

Esattamente a trecento anni dal concepimento del 4o Concerto Brandeburghese, desidero rendere omaggio a mio modo a quella che per me rimarrà sempre una fra le pagine musicali più belle dell’universo mondo.
Per quanto mi riguarda, Celebrerò questa ricorrenza esternando quello che è un pensiero del tutto personale relativo ad alcune aberrazioni che, a mio giudizio, fino a oggi almeno, sono state presenti in seno alla didattica musicale vigente nel sistema scolastico italiano.

Il 22 gennaio 2020, all’interno di questo spazio, pubblicavo un post che descriveva in modo dettagliato la realizzazione di un progetto didattico musicale rivolto a bambini frequentanti la scuola dell’infanzia.
La riflessione che di seguito propongo costituisce, in realtà, la ragione d’essere di quella esperienza, fondata su un’idea ben precisa, ossia l’idea di recuperare la relazione con quello che rimarrà, sempre e comunque, lo strumento più bello del mondo: la voce umana.

Nell’arco della mia esperienza di musicista, in qualche frangente sono venuto a contatto con il mondo della scuola e, di conseguenza, con quello strumento che viene chiamato didattica.
Per quanto concerne l’insegnamento della musica nella scuola primaria e in quella secondaria di primo grado, due sono gli aspetti che, nel corso del tempo, hanno destato in me un profondo senso di smarrimento e che vorrei riassumere ed esplicare attraverso il racconto di due episodi estremamente chiarificatori.

1o movimento

Allegro

Dipinto del celebre genio della musica Johan Sebastian Bach. Egli è vestito con un elegante casacca blu dai bottoni argentati, porta uno dei tipici parrucchini che si usavano indossare in quell'epoca. Nella sua mano destra si intravede uno spartito musicale.

Questo allegro, insolitamente esteso – 427 misure – ma simmetricamente costruito su una struttura formale concentrica del tipo A-B-C-B’-A.
Nell’ampio ed articolato ritornello iniziale (A), ripetuto testualmente a conclusione del movimento, il materiale tematico è esposto principalmente dagli strumenti solisti, mentre l’orchestra si limita ora a scandire le battute con semplici accordi, ora ad unirsi al concertino rafforzandone la sonorità.
Nelle sezioni successive (B e B’) aumenta il ruolo solistico del violino, culminante nell’esteso passaggio di biscrome (C) posto al centro del brano, quasi che il vertice dell’impegno virtuosistico coincidesse con quello formale in un’immaginaria struttura a piramide.
Le solide geometrie sulle quali si basa l’intero movimento si stemperano però nella morbidezza sonora della coppia di flauti e nel carattere disteso ed avvolgente dell’invenzione tematica, sottolineato dalla giocosità di un ritmo ternario piuttosto insolito per il primo tempo di un concerto.

Commissario per un giorno

Ripresa di una scena del celebre Commissario Montalbano. Il protagonista è seduto ad una tavola apparecchiata probabilmente in riva al mare, l'espressione del commissario è corrucciata. Le sedie blu che compongono la scenografia sono in forte contrasto con il parapetto giallo canarino visibile nell'inquadratura.

Il primo episodio riporta la mia memoria a qualche anno fa, quando fui chiamato a far parte di una commissione che doveva selezionare potenziali candidati dotati di attitudine verso la musica, al fine di instradarli in un percorso scolastico ad indirizzo musicale.

Ricordo di aver trascorso una giornata di fine primavera asserragliato in un’aula presso un istituto scolastico, esaminando – uno dopo l’altro – esattamente 40 studenti che si definivano interessati al mondo della musica.
Quasi tutti i ragazzi erano in grado di interfacciarsi con uno strumento; ciò che mi colpì, però, fu il fatto che solamente una bimba di circa undici anni fosse capace di intonare una melodia, dimostrando in tal modo di padroneggiare lo strumento vocale.

In quell’occasione, dovetti prendere tristemente atto che trentanove bambini su quaranta non erano in grado di controllare la propria voce e, di conseguenza, non erano in condizione di poter emettere due suoni intonati, uno dopo l’altro. L’unica a saperlo fare era una ragazzina proveniente dall’Ucraina, la quale cantava come un usignolo, disponendo del proprio mezzo vocale come, solamente trenta o quarant’anni or sono, avveniva – in maniera del tutto normale – per la maggior parte dei giovani.

Ciò non sta a significare che i ragazzi fossero stonati; si tratta semplicemente di un indicatore che certifica come in famiglia, a scuola, nei contesti aggregativi – religiosi o sociali che essi siano – non si canta più.
Questa rilevazione, da me empiricamente ricavata e basata su informazioni non consolidate da un’analisi più approfondita, sicuramente non è sufficiente a fare statistica; rimane però il fatto incontrovertibile che cantare non rappresenti più una pratica di massa come accadeva in passato.
Nei campi o nelle osterie, in casa o in chiesa, nelle fabbriche o dalle bancarelle di un mercato, in viaggio o a scuola, per strada o sotto una finestra, il canto assolveva alla funzione di esternare le emozioni; la goliardia e il dolore, la protesta e la partecipazione, le istanze universali e quelle private – in una buona percentuale – passavano attraverso l’esperienza rappresentata dalla vocalità intonata.

2o movimento

Andante

Inquadratura dal basso di una statua dedicata al compositore Johan Sebastian Bach. L'artista, vestito di tutto punto, tiene nella mano destra un foglio arrortolato a cilindro. Sotto i piedi di ferro del genio, il nome del musicista forgiato con lo stesso materiale scuro della statua. Sullo sfondo si intravede quella che potrebbe sembrare una cattedrale fatta di mattoni grigi e grandi vetrate.

L’Andante (mi minore) è l’unico movimento lento fra tutti i Brandeburghesi a non prevedere una riduzione dell’organico strumentale: i solisti – qui usati come gruppo unitario – e il ripieno dialogano tra loro o si sovrappongono secondo i modi tipici del concerto grosso nell’elaborazione di un nucleo motivico di sospirate crome legate a due a due, in un fascinoso gioco di effetti d’eco e di contrasti del piano dinamico.
La coralità dell’insieme strumentale si interrompe solo in un paio d’occasioni, per dare spazio a due espressivi interventi solistici del primo flauto, a metà circa del brano e poco prima della cadenza conclusiva frigia alla dominante maggiore (si).

Se il flauto dolce va di traverso…

Foto di sette flauti a becco o dolci di uguale fattura ma di diverso colore. Partendo da sinistra, in successione: color cioccolato al latte, caramello, terra di siena bruciata, nero, ambrosia, marrone chiaro e, infine, bianco e nero.

Il secondo episodio si colloca – rispetto al precedente – in un momento più vicino nel tempo; esso infatti risale al periodo natalizio dell’anno 2019 quando, per ragioni legate alla mia professione di consulente per gli ausili dell’Ufficio H, sono entrato in relazione con una bellissima classe di una scuola elementare della provincia di Udine.
Questa realtà meriterebbe un approfondimento a sé stante per il modo nel quale, al suo interno, si affronta concretamente il problema dell’inclusione, ma non è questa la sede opportuna per dare seguito all’argomento.

Essendo il Natale ormai alle porte le maestre, a conoscenza del mio alter ego da musicista, ritennero bello potermi coinvolgere, condividendo con me il lavoro che con gli alunni stavano allestendo per il commiato dalla scuola prima delle vacanze.
Sentendomi investito da tanta aspettativa e altrettanta fiducia, accolsi con un po’ di stupore quell’invito così autentico e sincero, altro non potendo fare se non rimanere in un religioso silenzio al fine di poter meglio ascoltare.

Fu così che una quindicina di bambini entusiasti, dopo aver frugato con una certa impazienza nei loro zainetti, estrassero – come fossero dei pugnali e preparandosi ad attaccare – altrettanti flauti dolci i quali, secondo me, così dolci poi non sono.
Eseguirono quindi per me alcune canzoni proprie del repertorio natalizio.

Mi guardo bene dal pensiero di rivolgere qualunque genere di critica alle insegnanti o agli alunni, ci mancherebbe altro.
I docenti, e di conseguenza i discenti, svolgono il loro compito in base alle disposizioni fornite dai programmi ministeriali e dagli orientamenti espressi dalla didattica vigente.
Certo siamo concordi sul fatto che il flauto dolce sia uno strumento economicamente sostenibile e di facile portabilità; non sono però altrettanto d’accordo sulla presunta facilità di approccio con esso, a mio avviso sdoganata in maniera troppo superficiale e anche un tantino’ ipocrita.

Personalmente sono convinto che parlando di musica, soprattutto con le nuove generazioni, bisognerebbe preoccuparsi innanzitutto di privilegiare il discorso estetico, salvaguardando l’idea della necessità di promuovere la bellezza.
per quanto mi riguarda, però, quindici flauti che suonano melodie ineseguibili, motivi antimusicali e improbabili canzoni trash-pop seguendo una base da karaoke, insieme e all’unisono, costretti in ambienti angusti e carichi di riverbero come spesso sono le aule scolastiche, tutto rappresentano tranne che il concetto di esteticamente bello.

Per sua conformazione timbrica, il flauto non è fatto per essere trattato come, ad esempio, un violino inserito nel contesto di una sezione d’archi; nell’ambito di quest’ultima, infatti, aumentando il numero degli strumenti, se intonati, si accresce la qualità del risultato fonico.
Il flauto, invece, moltiplicato per se stesso risulta brutto da ascoltare, pericolosamente aggressivo per il sistema dell’udito e contrario ad ogni logica che determina i principi della psicoacustica.
Il flauto dolce o flauto a becco è uno strumento specialistico; si studia all’interno di percorsi musicali ben definiti, come la musica antica, ed è bello apprezzarne la specificità, ad esempio ascoltandolo nel 4o concerto brandeburghese di Bach.

In ultima analisi, se io fossi un Qualunque ragazzino di scuola elementare o media dotato di un minimo di sensibilità musicale e, quale primo incontro con la musica, fossi costretto in cattività a suonare insieme ad altri quattordici flauti che eseguono lo stesso brano all’unisono, cercherei una via di fuga e mi convincerei che la musica non è poi un’esperienza così interessante.

3o movimento

Presto

Dipinto di Johan Sebastian Bach rappresentato di profilo mentre suona un organo a due manuali. Vestito con una lunga casacca blu, calze bianche e scarpe nere, sembra scrutare le persone che osservano il ritratto con sguardo corrucciato e leggermente diffidente.

Nel Finale (Presto), così come nel Secondo Brandeburghese, i principi dello stile fugato si uniscono a quelli concertanti, sebbene in questo caso la condotta delle voci risulti essere più tesa ed articolata.
Le entrate a canone del tema, il cui incipit riecheggia quello del Brandeburghese n. 2, sono proposte dal Tutti lungo un arco modulante che dal tono d’impianto (sol) tocca il relativo minore (mi) e la sottodominante (do).
Gli interventi dei solisti si pongono a metà strada tra il divertimento contrappuntistico e l’intermezzo concertante, e ancora una volta affidano al violino l’episodio di maggior impegno virtuosistico, consistente in accordi spezzati, agili volatine di semicrome e tremoli vigorosi.
In questo movimento, il Tutti collabora “da protagonista” allo sviluppo dell’eloquio musicale ed acquisisce così un peso maggiore rispetto al semplice ruolo di accompagnamento svolto nel primo tempo, seguendo un percorso inverso a quello del Secondo Brandeburghese, dove i soli, meno visibili in apertura del concerto, si impongono più decisamente all’orchestra soltanto nel finale
Si ristabilisce così un più proporzionato rapporto dinamico tra solisti e ripieno che contribuisce ad arricchire quel sofisticato e delicato complesso di equilibri sul quale è complessivamente costruita, pur nell’individualità dei singoli concerti, l’intera raccolta dei Brandeburghesi.

Una, dieci, cento, mille voci

Foto di un coro di bambini vestiti con una tunica nera dal colletto bianco. Cantano guardando chi davanti a se, chi lo spartito che ognuno di essi tiene in mano. Lo sfondo dell'immagine è nero.

Sulla scorta delle esperienze fino a qui riportate, mi ricollego a una considerazione che – quando ne ho la possibilità – rivolgo a quei docenti che operano sul campo e sono a diretto contatto con i ragazzi: perchè, invece di costringere gli alunni ad ascoltare se stessi far stridere un flauto dolce con frustrazione, non li fate semplicemente cantare?
Una voce solista o un insieme di cantanti, all’unisono o polifonicamente, cantare può rappresentare un’esperienza irripetibile e straordinaria, soprattutto per un ragazzo che con la musica, al di là dell’esperienza scolastica, probabilmente non avrà più nulla a che fare per il resto dell’esistenza: possibile che tutto ciò sia così lontano dal senso comune?

E poi, a conti fatti, la voce risulterebbe ancora più economica del flauto dolce e avrebbe il non trascurabile vantaggio di evitare agli studenti di beccarsi una nota sul registro per averla inavvertitamente dimenticata su uno scaffale della libreria o dentro un cassetto dello scrittoio, nella frettolosa, convulsa e assonnata ritualità quotidiana che consiste nella preparazione della cartella per la scuola.

Le immagini utilizzate in questa pagina provengono dalla libreria di Google e dalle bacheche tematiche di Pinterest
Se, innavertitamente, la diffusione di qualcuna di esse dovesse costituire una violazione del copyright, dopo averne ricevuto comunicazione, provvederò alla rimozione dei contenuti indicati.
Queste, in virtù dei testi descrittivi realizzati da mia figlia Cry, potranno essere apprezzate nei particolari anche dai non vedenti – mediante la vocalizzazione proposta dallo screen reader: grazie!

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Riferimenti

Allego di seguito la versione integrale del 4o Concerto Brandeburghese di J. S. Bach – B.W.V. 1049, al quale ho fatto riferimento nel corso di tutto questo testo.
L’edizione da me proposta per l’ascolto è stata curata e diretta dal maestro Claudio Abbado.

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