ArteSuono

Foto di Stefano Amerio

“Il mago dei suoni è friulano”…

Con questo titolo, il 15 Gennaio 2012, all’interno delle pagine di cronaca del MessaggeroVeneto, Melania Lunazzi descriveva perfettamente chi è e ciò che fa Stefano Amerio: un amico e un grande professionista.
Per parlare di lui e della sua etichetta, mi limiterò a rilanciare di seguito il contenuto di quell’articolo. Ndr

Il mago dei suoni vive in Friuli. È Stefano Amerio, che a Cavalicco ha allestito lo studio di incisione più frequentato dai musicisti nazionali e non solo, jazzisti in prima linea – i più bravi, si sa insieme con i classici -, ma anche rocker di fama, qualche cantautore e tante voci nuove.

In questi giorni ad Artesuono il trombettista Paolo Fresu sta incidendo il suo nuovo album, preceduto dal maestro Enrico Rava e da Stefano Bollani. Ma Amerio è tipo che guarda oltre i confini ed è divenuto da tempo la longa manus dell’etichetta ECM in Italia, quella che fa incidere i migliori musicisti della scena internazionale, figure del calibro di Brad Mehldau o Uri Caine. Ma ecco come Amerio si racconta nei giorni che segnano, sempre più, la sua ascesa nel mondo musicale.

Sound engineer: letteralmente ingegnere del suono.
Più correttamente, fonico.
Ma il termine appare quasi riduttivo, almeno a sentire i pareri dei musicisti di altissimo livello -jazzisti soprattutto, nomi come Paolo Fresu e Enrico Rava, solo per dirne un paio – che affrontano centinaia di chilometri di strada pervenire a registrare i loro nuovi dischi nello studio di Cavalicco.

Dall’entusiasmo che questi grandi trasmettono viene in mente un vero “artista del suono”. Non è un caso che quello studio si chiami proprio Artesuono – dal 1998 anche un’etichetta di dischi nata per promuovere la musica made in Friuli.
È Stefano Amerio, classe 1967, ventiquattro anni di esperienza nell’incidere i suoni degli altri.

– Sono un perito edile, ho fatto il Malignani, un’ottima scuola – questo studio (lo scantinato della casa, l’ho costruito con le mie mani, assieme mio padre.

Certo, fin da piccolo sono stato circondato da strumenti musicali giocattolo, ho studiacchiato per anni il pianoforte (con tutte le resistenze che può avere un bambino) poi le tastiere in piccoli gruppi, ma la strada che ho scelto l’ho intrapresa da autodidatta.

Nel 1986, un anno prima del diploma, ho fatto un viaggio a Londra. Tra le riviste musicali di un’edicola ce n’era una che parlava di libri sulle tecniche di registrazione: rientrato in Italia li ho comprati tutti inviando via fax il vaglia postale”. –

Dalle piccole registrazioni fatte tra amici – dopo un anno di lavoro come perito – alla decisione di aprire uno studio suo:

– Nel 1989 con 12 milioni e 650 mila lire, ho preso un mixer semi professionale e un registratore multipista a bobine: mio padre mi ha dato un anno di tempo… e sono ancora qua». –

La strada verso il successo è stata istintiva, merito di una insaziabile curiosità e del forte spirito di intraprendenza che lo ha portato a incontrare le persone giuste.

– “Ho chiesto uno stage privato a Marti Jane Robertson, la fonica di Fossati (il suo telefono era su una rivista e lei ha accettato di venire qui), poi qualche lezione di armonia a Glauco Venier.
Un giorno lui mi ha invitato a fargli da fonico a Capodistria: non sapevo niente di jazz! Però andò tutto bene e fu per me un salto enorme.
Da quel momento decisi di passare dal rock al jazz, una scelta in controtendenza (in regione tutti registravano rock) per un settore di nicchia, ma la passione e la qualità l’hanno resa vincente”.

Dopo Venier è arrivato U.T. Gandhi, che gli ha portato Enrico Rava come ospite (2003) e con Rava è arrivato il contatto con la prestigiosa etichetta ECM del producer Manfred Eicher: da quel momento Amerio segue tutte le produzioni italiane di ECM:

– Con Manfred è nata anche un’amicizia:
“eravamo a Lugano a fare un montaggio e mi trovavo in un momento di indecisione tra due possibilità.
Lui se ne è accorto, mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha detto “please, think fast” aprendomi un mondo: bisogna sempre cercare di anticipare quello che il musicista desidera, non so se sia una questione di esperienza o innata, fatto sta che ora intuisco quanto il musicista sta per chiedermi”. –

Varcata la porta del suo studio, ci si trova davanti a un’enorme (due metri e mezzo) tastiera scura, con centinaia di pulsanti, leve, tasti e manopole, il mixer: «È un Otari a 78 canali:

– l’ho preso nel 2004 (è arrivato via nave da Singapore). È un mixer analogico, non ha nulla di digitale all’interno, questo significa che ogni modifica è fisica. Ho fatto questa scelta per conservare un aspetto di artigianalità nel mio lavoro: un suono come questo è superiore a quelli digitali, che sono freddi, neutri, senza colore.. –

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